Storia e tecnica del mosfet
Il successo del mosfet e in particolare della tecnologia CMOS è strettamente legato all’elettronica digitale.
Il mondo dell’elettronica digitale è un mondo in cui l’informatica e il calcolo binario si sposano con l’elettronica, in circuiti il cui compito è effettuare calcoli più o meno complessi. I calcoli sono effettuati con “zeri” ed “uni” e le operazioni a livello microscopico sono in generale molto semplici e limitate alla somma logica (OR), prodotto logico (AND) e altre semplici operazioni che possono essere combinate per effettuare calcoli più complessi. Combinando queste semplici reti di calcolo (e aggiungendo delle celle di memoria), si ottengono le cpu, che sono quanto di più complesso si possa trovare nel mondo dell’elettronica.
Il passaggio dal mondo astratto del calcolo binario a quello fisico dell’elettronica avviene tramite i transistor ad effetto di campo (Field Effect Transistor) ed in particolare tramite i transistor Metallo-Ossido-Semiconduttore (MOSFET). In questo mondo gli zeri e gli uni sono associati a delle tensioni basse (Low) o alte (“High), in modo che i valori accettabili a livello logico sono soltanto due, zero e uno per l’appunto. Il funzionamento logico di un transistor mosfet è simile a quello di un interruttore. Il mosfet è costituito da tre porte: il gate, il drain e il source. Il gate, al centro, è a tutti gli effetti “la porta”che regola la conduzione tra le altre due. La parte sottostante al gate (Semiconduttore), adibita al passaggio della corrente, è chiamata canale di conduzione. Infine c'è il substrato (Bulk) su cui è costruito il transistor che può essere preso in considerazione per i suoi effetti parassiti. Applicando una tensione (High) al gate, si forma uno strato di cariche elettriche nel canale di conduzione e la corrente può fluire tra le porte drain e source, mentre con tensione Low l’interruttore è aperto e, idealmente, non c’è passaggio di corrente.
Mosfet On
Mosfet Off
Numerosi ingegneri elettronici, fisici e chimici ogni giorno spremono le loro meningi per ridurre quanto più possibile la corrente in stato di “interruttore off”. Il MOS giunge parzialmente in aiuto: l’ossido presente tra il contatto di metallo del gate e il semiconduttore fungerà infatti da isolante impedendo il passaggio di corrente dal gate. Questo è un grande vantaggio dei mosfet rispetto agli altri transistor ad effetto di campo. L’altra possibile perdita di corrente (leakage) è tra drain e source e si impedisce svuotando di cariche elettriche la regione di conduzione del semiconduttore. Tale operazione è stata migliorata con la nuova tecnologia 3D che vedremo nelle prossime pagine.
Per quanto riguarda invece la riduzione dei consumi durante la fase di conduzione (ovvero quando cambiano gli ingressi delle porte logiche e conseguentemente deve cambiare l’uscita), nelle CPU si utilizza la tecnologia Complementary MOS (CMOS) che sfrutta due diversi tipi di mosfet contemporaneamente: il pMOS e l’nMOS.
Questi due tipi di mosfet differiscono per il tipo di materiale con cui è stato trattato (in gergo drogato) il materiale di conduzione e i contatti di drain e source. Il loro comportamento è duale e il risultato è che nella tecnologia CMOS non c’è mai conduzione di corrente a regime, ma soltanto durante gli stati di transizione delle porte logiche. Ridurre la dissipazione di corrente nelle fasi di transizione è un’ulteriore sfida sempre aperta. Generalmente utilizzando canali più corti diminuisce la dissipazione di potenza, per effetto joule dovuta all’attraversamento da parte delle cariche elettriche del canale. La diminuzione della potenza necessaria garantisce benefici dal punto di vista della dissipazione del calore, oltre che da quello della durata delle batterie nei dispositivi mobili. E’ per questo che i maggiori colossi dei semiconduttori si affannano nel cercare di passare ad un nuovo processo produttivo, che indica appunto la lunghezza del canale dei mosfet. I benefici nel ridurre questo parametro sono molteplici: oltre alla già citata riduzione di consumi si hanno transizioni più veloci delle porte ottenendo, a parità di tensione operativa, frequenze maggiori. Nelle prossime pagine vedremo come Intel nel passaggio al processo produttivo a 22nm abbia introdotto interessanti novità nella struttura del mosfet, rivoluzionando di fatto una tecnologia vecchia di 40 anni. Ovviamente il passaggio ad un nuovo processo produttivo è tutt’altro che semplice viste le dimensioni con cui abbiamo a che fare. 22nm è una lunghezza 3600 volte più piccola del diametro di un capello; occorre insomma una precisione sub-nanometrica!
Intel sin dal 2002 lavora alla tecnologia del mosfet tridimensionale, studiandola e migliorandola fino ad oggi, finalmente disponibile.
Tale tecnologia sarà una delle innovazioni che troveremo nelle soluzioni Ivy Bridge a 22nm che Intel lancerà in futuro.